lunedì 9 novembre 2015

Edilizia Pubblica Pratese, adesso tutti i consiglieri sanno

PRATO. Giovedì 12 novembre question time in consiglio comunale per una nuova puntata sulla società partecipata Edilizia Pubblica Pratese.
Adesso tutti i consiglieri (del Pd in maggioranza, ed anche tutti quelli di opposizione) sanno che:
1) il Comune pagherà 375.000 euro all'Epp per canoni di affitto non riscossi dalla stessa società nel 2014;
2) che l'assessore Luigi Biancalani, più volte chiamato ad esprimersi in consiglio comunale sulla situazione dell'Epp ha dichiarato: "... se andate a vedere i bilanci vi rendete conto che c'è un enorme, aggiungo parola enorme, risparmio sulle spese del personale", "...permettetemi un giudizio, poi concludo subito, vorrei dare un giudizio molto positivo... io mi devo complimentare con gli uffici di Epp che hanno svolto questo tipo di attività. E' una società sana..."
3) che il consiglio di amministrazione dell'Epp ha aumentato nel 2011 con una semplice delibera, senza informare l'assemblea dei soci - ovvero i comuni della provincia di Prato - di 135.000 euro gli stipendi degli undici dipendenti, promuovendo quasi tutti con passaggi anche di due o tre livelli e di area, senza concorso;
4) che l'assessore Biancalani ha dichiarato in consiglio che "nella società per azioni Edilizia pubblica pratese, pur essendo a capitale pubblico, non si applicano le leggi in materia di pubblico impiego"
5) che il cda dell'Epp è stato nominato dalla precedente amministrazione di centrodestra.

Per i pignoli e, soprattutto per coloro che giustamente vogliono il supporto legislativo:

La qualificazione di un ente come società di capitali non è di per sé sufficiente ad escludere la natura di istituzione pubblica dell’ente stesso, ma si deve procedere  ad una valutazione concreta in fatto, caso per caso. Quello che rileva non è la soggettività in (ossia l’elemento formale), quanto piuttosto la tipologia di attività svolte e la capacità a svolgerle (dunque, l’elemento sostanziale). Quindi, l’identificazione in concreto dell’ente pubblico, laddove incerta, deve essere fatta analizzando la disciplina giuridica propria di esso, ricavando da questi elementi, in base a parametri normativamente predeterminati, l’essere pubblico dell’ente. In buona sostanza, l’indagine sulla natura di tali società deve essere svolta privilegiando gli aspetti sostanziali rispetto al dato meramente formale costituito dalla configurazione giuridica dell’ente, secondo un modus procedendi che è tipico del diritto comunitario. In effetti, si è andato consolidando in questi ultimi anni nella giurisprudenza nazionale - in linea con il concetto di impresa pubblica elaborato a livello comunitario, il cui elemento caratterizzante è l’influenza dominante dei pubblici poteri, prescindendo dalla natura formale -, l’orientamento della prevalenza degli aspetti pubblicistici sostanziali sulla forma privatistica ai fini della qualificazione di un soggetto. 
 Si è quindi affermato che una s.p.a. a totale capitale pubblico è privata esclusivamente per la forma giuridica assunta, ma sul piano sostanziale essa, visto che continua ad essere sotto l’influenza pubblica, è assimilabile ad un ente pubblico.
Peraltro la giurisprudenza (Cons. St., sez. V°, 1/04/2000, n. 2078; sez. VI, 4/04/2000, n. 1948; sez. VI, 1/04/2000, n. 1885) , ritiene che la veste imprenditoriale ed anche l’eventuale caratterizzazione lucrativa di un soggetto non ostano alla qualifica in termini di organismo di diritto pubblico e, quindi, all’equiparazione agli enti pubblici del diritto interno ai fini della natura pubblica dei relativi atti. Ancor prima, aderendo alla nozione sostanziale di pubblica amministrazione, il Consiglio di Stato, con la decisione n. 498 del 20/05/1995 della VI sez., affermava che in linea di massima “tali società, affidatarie della cura di rilevanti interessi pubblici, conservano inalterata la propria connotazione pubblicistica con la conseguenza che malgrado la trasformazione sono destinate a rimanere pubbliche”. Lo stesso Consiglio di Stato ha altresì affermato che ”…il fenomeno dell’azionariato pubblico e, più in generale, della costituzione di società lucrative da parte della p.a., non si radica esclusivamente nella disciplina di diritto comune, ma presenta aspetti di diritto speciale, connessi al fatto che l’amministrazione, nella sua veste di azionista di una società formalmente di diritto civile, non può che indennizzare le attività societarie a fini di interesse pubblico generale, che fanno assumere alle stesse attività i caratteri della funzione amministrativa e valenza oggettivamente pubblicistica” (Consiglio di St. sez. II°, 20/06/2001 parere n. 1428/2000).
Ogni dubbio è poi comunque stato fugato con l’intervento del legislatore statale con il Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (convertito nella legge n. 133/2008)  che all’art. 18 così recita:
A decorrere dal sessantesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001”.
Dal 21 ottobre 2008 quindi, le società interamente pubbliche devono sottostare alle norme pubblicistiche sul reclutamento del personale fissate dall’art. 35 del D.Lgs 165/2001. L’articolo di che trattasi disciplina le procedure di assunzione dei pubblici dipendenti prevedendo un’adeguata pubblicità alla selezione, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. In tale contesto si è pure registrato un parere della Corte dei Conti fornito al Comune di Bari del seguente tenore: “una voluntas legis sempre più indirizzata verso l’adozione di misure di contenimento delle spese delle società a partecipazione pubblica, spesso destinatarie di cospicue risorse pubbliche, e pertanto corrisponde a principi di prudenza e di sana gestione finanziaria evitare l’incrementarsi delle spese per incarichi esterni, delle spese per lavoro flessibile e delle spese del personale delle società totalmente partecipate dall’ente locale, rilevato che tali costi potrebbero finire per gravare direttamente sulla casse comunali”.

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